La “via dello scudo” al torrione Ratti, luogo appartato dove per sbaglio ci possono bighellonare solo i camosci; calcare bianco compattissimo come non lo vedi altrove in Grignetta. Correva l’anno 1970 quando fu salita da Daniele Chiappa “Ciapìn” come era conosciuto e come lo amano ricordare a Lecco.
La mattina davanti al caffè avevo messo in luce il mio scopo della giornata: tentare a vista la fessura del secondo tiro. Bum! “Eddai caxxo, certo sarà dura ma sempre di VII si parla mica roba marziana. Una minima chance di successo potete anche concedermela“ “Solo non farci prendere la pioggia e metti un po’ di cordini da tirare …”
Un anno fa me ne parlava per la prima volta il Ciccio incontrato in falesia, “ma merita?” “vai, vai che ti diverti”; poi ho rimandato aspettando un giorno di quelli con poco tempo disponibile, con un minimo di voglia di camminare e abbastanza fresco per scalare con la schiena rivolta a sud.
Quindi siamo in tre alla prima sosta, io che guardo in su, poi guardo Gilla che ridacchia, poi di nuovo strizzo gli occhi in alto a triangolare le distanze tra i resinati con la sosta, poi il Canzi che inforca il freno e in ultimo la ferramenta attaccata all’imbrago “quale sarà la misura giusta pret-à-porter se il cane arriva e m’azzanna i polpacci?”. Non è una via lunga, possiamo giocarci tutte le energie su quest’unico tiro.
Arrivo lento al bong giallo, che stima! oggi c’ho la base alta … però il rinvio lo butto dentro al foro alla cacchio di cane. “mmhhh forse lavora male sulla leva” … “chissà se mi tiene il volo” … “provo a rilassare l’avambraccio solo cinque secondi poi riparto” … “magari prima rilasso pure l’altro, divento come nuovo e gli dò la zampata” … “c’è un buon cubetto lì ma sembra un po’ alto” e via così il tempo passa ma sono ancora immobile, con gli occhi alla Marty Feldman che fissano il bong. E’ un attimo che il carburatore si ingolfa: l’ossigeno al cervello diminuisce, lascia spazio al sudore che gocciola DENTRO la scatola cranica e allaga tutta la coppa, inizio a sbuffare come un mantice … “siamo in zona cesarini, muoviti e alza quel porco di un piede e e e eee … BLOCCA!”. Mi muovo verso il basso di poco, sotto avevano già mangiato la foglia da un pezzo e stavano solo ad aspettarmi all’uscita di un film già visto. Il bong intanto è a prova di bomba.
Andata in fumo l’ambizione tanto vale star lì appeso e prendermi anche un cappuccino prima di ripartire, a quel punto si tratta di limitare i danni e gestire al meglio la collosità che mi avviluppa la mente. Un alieno messo poco più in alto ci va a nozze e dà morale, una strizzata di lametta un pò troppo sopra le righe e il cane molla la presa ai polpacci; non è che poi vado a passeggio neh! diciamo che fino in sosta lascio tranquilli i soci senza dare richiami di allarme ogni due passi.
Lunghezza bella, bella faticosa e divertente.
L2 (35m VII o VI/A1, 4 resinati, 2 ch., 1 clessidra con cordone): non serve essere un trattore, avere la crapa da mulo è certamente meglio, magari unendo una buona dose di mestiere premendo con spalla e anca quando serve maggiore equilibrio dove la fessura si allarga. Passato il traverso e il primo chiodo, 1m sopra ci sta alla grande uno stopper piccolo che rincuora. Sopra il bong un friend molto piccolo sarebbe cosa buona e giusta, ma trovare l’equilibrio per piazzarlo in serenità non è affare da poco; gli ultimi metri di lama, bella dulfer, si possono proteggere con un friend C4 #1 rosso, allungando bene il rinvio per non dover tirare le campane fino alla sosta.
Devo ammette di non aver mai letto un racconto tanto appassionante di un resting su di un bong… lo stile migliora 🙂
Si, ma si è dimenticato della cosa più importante: okkio alle zecche!!!
Caxxo mi sono portato a casa una franata di zecche e neanche un camoscio….