Capodanno 2015. Diaspora del Giardinetto.
Diciamolo pure: ci eravamo abituati bene. Da qualche anno una costola più o meno numerosa del Giardinetto si era ritagliata un tempo a cavallo di capodanno e un luogo con neve per festeggiare assieme. Quest’anno però, per una ragione o per l’altra, questo bel proposito è sfumato e ognuno ha preso strade diverse…
E così io e Sara, forse non proprio in un momento di grande lucidità, abbiamo partorito un’idea geniale: capodanno in un bivacco!! Cioè, proprio un bivacco: non gestito, ma magari attrezzato con almeno una stufetta, giusto per gustare in un ambiente vivibile il prelibato risottino in busta cucinato su fornelletto a gas. Il problema stava nel fatto che la mattina avremmo lavorato entrambi, e non avremmo avuto a disposizione abbastanza tempo per raggiungere mete affidabili, tipo il bivacco Cecchini allo Spluga o il Cederna in Val Fontana. Così abbiamo ristretto la ricerca ai bivacchi del “nostro” lecchese, ma alla fine non siamo riusciti a trovarne neanche uno in grazia di dio. Prima di gettare la spugna, però, ci siamo rivolti a San Google, nella speranza che ci facesse la grazia, e… ecco apparire come una stella cometa il segno che cercavamo: un cenone di capodanno con pernotto al rifugio Casera Vecchia di Varrone! Chiamiamo il 29 e lo troviamo sold out, ma Antonella, la rifugista, ci dice che una coppia deve ancora dare conferma, lasciandoci appesi ad una piccola speranza. Il giorno dopo la speranza si concretizza e così ci prepariamo all’agognato capodanno montano.
Il 31 ci mettiamo in viaggio verso le due e un quarto alla volta di Premana che raggiungiamo dopo un’ora e mezza scarsa di macchina. Il tempo è incerto, ma non è un grosso problema: l’avvicinamento al rifugio dovrà durare il meno possibile senza la possibilita’ di guardarci troppo in giro. Lasciamo l’auto in centro, al parcheggino della Coop, che si offre gentilmente agli escursionisti nei gironi festivi. Scendiamo le scale seguendo le indicazioni di un inequivocabile cartello segnaletico e ci dirigiamo verso il piccolo nucleo abitativo di Gebbio, a partire dal quale ci mettiamo in cammino verso il rifugio. Sono le quattro passate e la luce inizia già ad affievolirsi. Il sentiero che percorriamo e’ in realtà una larga mulattiera, denominata “Via del ferro”, riadattata nel XIX secolo dagli Asburgo a partire da un’antica via di comunicazione di epoca pre-romana, per sfruttare i ricchi giacimenti di ferro della Val Varrone.
Dopo poco arriviamo all’alpe Forni, un villaggio di vecchie baite, sviluppatosi sotto l’impulso dell’industria metallurgica. Sebbene le miniere siano ormai abbandonate da più di un secolo, alcune abitazioni sono state ristrutturate di recente, segno di una vitalità che resiste al di là delle ragioni dell’economia e delle leggi della moderna comodità. Ci fermiamo brevemente per un sorso di te caldo e ripartiamo alla volta del rifugio. Luce e calore ci hanno lasciati al nostro cammino quando entriamo nel bosco di larici in corrispondenza dell’alpe Vegessa, oltre il quale proseguiamo in piano per un lungo tratto prima dei tornanti finali che conducono alla conca del rifugio.
Sono le sei e mezza circa, e pensiamo di essere in ritardo per il cenone, ma appena varcata la soglia dell’accogliente rifugio, ci accorgiamo che un’altra coppia di ragazzi ci ha preceduto di poco. Subito veniamo “presi in consegna” da Antonella che ci conduce nella depandance a fianco dell’edificio principale, dove ci sistemiamo in una stanzetta con solo il nostro letto a castello. Nella camerata di fianco, più grande e già occupata, troviamo una stufa crepitante, vicino alla quale disponiamo i vestiti madidi del sudore della salita. Proviamo anche a darci una rinfrescata sfruttando il lavello del bagno, ma abbiamo non poche difficoltà a gestire la temperatura dell’acqua, troppo… calda!!! Paradossale, considerando i -10 gradi esterni.
Finalmente, in condizioni di minima decenza igienica, ci trasferiamo nell’edificio centrale del rifugio, dove conosciamo gli altri commensali. Tiriamo un sospiro di sollievo nel vedere che la quasi totalità dei presenti sono ragazzi fra i 30 e i 40 anni: già ci immaginavamo ad un tavolo di vecchi lupi di montagna a cantare canzonacce mezzi ubriachi… che poi non è neanche cosi male, ma sarà per la prosssima gita! Così finiamo al tavolo con altre simpatiche coppie: Alice & Jonhatan, Martina & Riccardo, Ilaria & Enrico, con i quali si crea subito un clima di convivialità, favorito dall’ottima cena, servita dall’affiatato team del rifugio, e da una sintonia di caratteri e ravvivata tra primo e secondo da un partitone a Tabù, che immette adrenalina fresca fresca nelle nostre stanche membra. Anche le altre tavolate sembrano divertirsi molto, contribuendo a rendere allegramente chiassosa la sala. L’unica punta di malinconia e’ rappresentata dal piccolo altare domestico posto sopra il caminetto a ricordo di Angelo, lo storico ex rifugista, partito qualche anno fa per l’ultima salita. La serata scorre leggera e briosa fino alla presunta mezzanotte, il momento di passaggio; dopo qualche brindisi e una fetta di panettone, io e Sara salutiamo e ringraziamo per la lieta compagnia. Per il giorno dopo avevamo infatti un proposito ambizioso e forse un po’ masochista: sveglia prima dell’alba e salita al Pizzo dei Tre Signori ! Cosi’ trasciniamo la nostra stanchezza fino alla depandance, a cui nel frattempo era mancato il fondamentale contributo della stufa e ci corichiamo infreddoliti.
Il nostro capodannno inizia molto presto: cinque e un quarto sveglia, colazione, che Antonella ci ha approntato in sala pranzo e partenza un’ora più tardi, ramponi ai piedi e frontale accesa. Ci immergiamo in un buio in lotta con luna e stelle, in direzione dell’evidente sentiero che conduce al rifugio FALC, in un silenzio totale. Il cammino procede ritmato per i comodi tornanti sino a che la larga carrareccia ritorna un sentiero: da qui in poi la coltre di neve iniza a inspessirsi, costringendoci ad un notevole supplemento di fatica. Quando raggiungiamo il FALC però, lo sforzo della salita viene generosamente ricompensato dalla prima alba dell’anno che colora il cielo occidentale di sfumature calde e illumina le cime innevate dell’alta Val Varrone.
Dopo qualche attimo di indecisione decidiamo di proseguire la salita, incoraggiati da un cielo senza nuvole e dai primi raggi di sole.
Dopo i primi metri di neve soffice, appena sopra il rifugio, traversiamo in orizzontale un pendio ripidissimo con il provvido aiuto delle piccozze appena sguainate. Sotto lo sguardo imponente e severo del Pizzo di Trona, giungiamo ad uno sperone roccioso che aggiriamo a destra, portandoci sugli ampi pendii che conducono al Pizzo dei Tre Signori. La salita si rivela lunga, più di quanto ci aspettassimo, ma passo dopo passo, pendio dopo pendio, arriviamo in vista della croce di vetta, solcando la neve morbida e asciutta inframmezzata da lembi di neve più ventata e dura, che ci fanno respirare un po’.
Finalmente dopo un ultimo ripido tratto, raggiugiamo la cima del Pizzo dei Tre Signori, punto di convergenza delle province di Lecco, Bergamo e Sondrio, inondata di sole. La giornata è magnifica, l’aria tersa. Rimaniamo qualche minuto a godere dello sconfinato panorama, che abbaccia buona parte dell’arco alpino e concede fantastici primi piani sulle numerose cime delle prealpi lecchesi e orobiche, Grigne e Resegone su tutte. Improvvisamente avvertiamo dei rumori alle nostre spalle che presto si rivelano i rapidi passi di un ragazzino in tutina che, con scarpe da corsa e senza ramponi, ci raggiunge in cima, fresco come una rosa sentenziando soddisfatto “due ore e trenta”, il tempo impiegato per raggiungere il Pizzo da Valtorta, 1500 metri piu’ in basso sul versante bergamasco. Dopo qualche foto di rito prendiamo la via del ritorno, seguendo fedelmente le nostre tracce, che ci ricordano ad ogni passo la fatica della salita. In breve siamo al traverso, che ripercorriamo con piu’ attenzione per via della neve che nel corso delle ore si è ammorbidita e quindi al rifugio FALC, dove incontriamo i nostri commensali della sera prima. Giungiamo al Casera Vecchia giusto giusto per mangiare un boccone, salutare Antonella, a cui annunciamo orgogliosi di aver raggiunto il Pizzo, e recuperare il nostro materiale, prima di ridiscendere a Premana.
Il 2015 sarà anno di grandi sfide, ma se il buongiorno si vede dal mattino, credo proprio che potremo affrontarlo con un sano ottimismo!
Note logistiche:
L’itinenario per arrivare al rifugio e’ ottimamente dettagliato sull’affidabilissimo sito Diska: Rifugio Casera Vecchia di Varrone
Qui sotto potete trovare il percorso da Premana al rifugio Casera Vecchia di Varrone su iframe interattivo di Google Earth
Cartina Kompass della zona (Pizzo dei Tre Signori compreso):