Lo stato dell’Idaho ha una superficie grossomodo comparabile a quella della penisola italiana (isole escluse), ma la densità demografica è di meno di 8 ab/km2 contro i più di 200 dell’Italia. La stragrande maggioranza del milione e 600mila abitanti dell’Idaho risiede nella fertile e relativamente pianeggiante area del tortuoso bacino dello Snake River. Per differenza si può bene immaginare come la stragrande maggioranza del territorio sia occupato da quello che gli americani chiamano “wilderness”. Le terre selvagge.
Queste immense aree disabitate si dividono sostanzialmente in due: quella desertica a sud e quella montuosa a nord dello Snake River. Le montagne a nord sono di fatto una sorta di propaggine della catena principale delle ben note Rocky Mountains, che corrono in direzione Nord-Sud “qualche chilometro” più a est. Esse sono solcate da molti impetuosi fiumi che ne disegnano l’orografia, ma da ben poche strade, il che rende di fatto molto limitato il numero di salite percorribili in giornata.
In attesa di prendere confidenza con l’ambiente e organizzare spedizioni into the real wild, eccoci qui con il prode Paolo Tessariol, in visita di cortesia, a salire una delle classicissime skialp idahesi, il Copper Mountain. La suà popolarità è spiegata da una semplice caratteristica: si parcheggia a lato della statale 21, un paio di ore di macchina da Boise e si parte sci ai piedi. Il viaggio in macchina è di fatto parte dell’avventura, con la strada che attraversa paesaggi solitari popolati dalla tipica wildlife (renne di varie specie e dimensioni, orsi, leoni di montagna, ecc.) e costeggia ripide pareti cariche di neve instabile. Naturalmente il “parcheggio”, porzione di lato strada liberato dalle mura di neve, è posto non proprio all’inizio della salita e costringe ad affrontare un tratto pianeggiante, fortunatamente sci ai piedi. In compenso la salita è veramente godibile, con pendii uniformemente inclinati, inizialmente nel bosco rado di pini Ponderosa e poi in un’ampia radura sino alla vetta.
In realtà a causa del forte vento che spazzava la vetta, gli ultimi metri, decisamente più pendenti, sono stati piuttosto difficoltosi, così come anche le operazioni di “spellamento”. In compenso la vista che ci si è offerta di fronte è di prima qualità: sconfinata distesa di montagne innevate che di estendono in ogni direzione a perdita d’occhio.
La discesa della parte superiore, grazie alla neve ancora polverosa, è stata puro godimento, tant’è che dopo qualche centinaio di metri di discesa, abbiamo deciso di ripellare e riguadagnare il terreno perduto. La seconda discesa ci ha riportato nel bosco, dove puntualmente abbiamo perso la traccia di salita e anziché seguire la dorsale ci siamo ritrovati troppo presto nel creek, dove ci è toccato ravanare non poco. In effetti l’orientamento è uno dei problemi da non sottovalutare tra queste montagne: ritrovare la strada persa potrebbe essere più complicato che trovare un buon ristorante italiano a Boise.
Alla fine tutto bene, compreso il tuffo rigeneratore nelle calde acque di una delle molte sorgenti termali della zona! Cosa volere di più? Forse una polentina…
Una relazione dettagliata della salita è disponibile a questo Link
Resti sempre un polentone