Una giornata investita al meglio in val Merdarola, arrampicando lungo una perla ormai classica delle Retiche e che metterei tra le cinque salite più belle (e più sudate) fino ad oggi. Plaisir puro anche se non nel senso sdoganato dagli svizzeri.
Una di quelle salite che mi ipnotizzano quando sfoglio la guida, quando ne leggo la descrizione e i commenti nei social, quando mi stampo a memoria lo schizzo con le difficoltà tiro per tiro, e confronto con altre relazioni o scorro le gallerie fotografiche di chi è già passato. Mi immagino “Waiting list” guardando le foto per coglierne i segreti, fantastico sulle possibilità di rendere la faccenda più semplice di quanto sia nella realtà, poi passo avanti le pagine, chiudo la guida e … “chissà, un giorno, magari”.
E poi quel bel giorno in cui mi capita di inviare il messaggio, tanto per buttar lì il solito “ti và di andare a fare una vietta in settimana?”
In settimana: perchè oramai nel weekend estivo San Martino diventa uno zoo, talvolta un vero circo Barnum.
In settimana: perchè di placche su granito sono ancora digiuno (ma dentro di me ho il coraggio del baüscia – “vabbè … tanto ho la base alta”).
Dunque il messaggio. Segue un inaspettato e deciso “ok” che mi prende quasi in contropiede, un ultimo controllo alle previsioni meteo e in uno dei giorni più caldi dell’estate siamo in due a sudare le sette camicie in salita (e discesa) lungo la val Merdarola. Posto evitato dagli uomini e dimenticato dalle zecche, tanto fa schifo il sentiero di avvicinamento. Il panorama ripaga? Mah! … è lo stesso che vedo dal Gianetti, dall’Omio, dal Ponti ma in compenso siamo zuppi d’acqua fin nei calzini, spore di erbaccia sulle braccia sudate, insetti macerati nelle orecchie e tra i capelli.
Un sentiero non mi vedrà più ma ogni minuto passato in questa disgrazia è stato più che ripagato in dopamina da altrettanto godimento verticale.
Ore 11:15 Enrico ancora sta detergendo la fatica accumulata tra le dita dei piedi, sicurezza a pugno mentre sul ghiandone fanno scintille i miei zoccoli ferrati a nuovo.
Ore 11:30 Mi alzo dalla sosta verso il bordo spiovente e suona la sveglia: “e allora, non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona per te.”
E’ l’ora del friend del mattino, mi dico, ed estraggo il biscottino goloso, quello consistente, color crema all’uovo e appetitoso, che riempie e soddisfa la pancia che stava per svuotarsi tutto d’improvviso. La bocca invece ha un che di asciutto (saranno i 25 gradi di temperatura prodotti dall’anticiclone africano su questa lastra a sud), forse un ricordo di sapore metallico. Metallo. Si certo, metallo. L’occhio lo vede lontano ma la bocca già lo assapora.
E li raggiungo, lentamente infilandone uno dietro l’altro … Ma che schifo! Sono quasi andati a male! Altro mal di pancia. E sete. Molta sete. D’altronde sto ciondolando a zig-zag come un delirante ormai da 40 metri e ho finito il repertorio di improbabili equilibri sugli alluci.
Esco un’ultimo “Enriii ancora cinquee meetriii!!!” e poco dopo mi sento al centro dell’aula magna in piedi ad accogliere la standing ovation. Scarica di dopamina.
La pelle sotto il ditone è di sicuro abrasa da attrito e calore, sento poco la sensibilità sugli appoggi. Ma ora il fiato è rotto, gli ingranaggi dell’orologio cerebrale sono ben oliati … tic-tac-tic-tac-tic … tutto si muove in sincrono eppure la fabbricazione svizzera del Plaisir qui attorno non si vede proprio. Un Plasil però lo vorrei, quello si: il caldo morde i piedi e strizza la bocca dello stomaco.
Ma … che vedo? Luce dei miei occhi, una fessura!!! Uhhhhh gli va tutta la manoooo!!! Anche il pugnoooo!!!! OOHHHH Enriii qui ci vado pure con la gambaaa ahahahahahah !!!
E bon. Magna cum laude alla Merdarola. Un attimo dopo stappiamo il Moët & Chandon e scendendo le doppie guardiamo il pelo folto che ci è cresciuto sulla pancia.
Poi via a casa a controllarci le zecche nei pantaloni, ma oggi credo che pure loro abbiano preferito luoghi più ospitali.
Alcune note logistiche e impressioni:
- parcheggio a fianco dell’ex albergo abbandonato circa 500 m prima del piccolo ponte di Bagni di Masino (ove non segnalato con apposito cartello, è sicuro come le tasse e come la morte che passerà l’omino per l’inderogabile multa).
- salendo circa 50 m lungo la strada verso i Bagni, a sx cartello in legno “Alpe Merdarola” e bella traccia con bolli verdi che si addentra nel bosco, fino a incrociare il sentiero vero e proprio, indicato con vernice bianca-rossa, che prosegue verso sinistra prima in salita poi in discesa fino alla cascata e al ponte di legno che la attraversa alla base.
- proseguendo su sentiero fatto con blocchi di sasso via via sempre più sconnesso ma ben segnalato con vernice rossa, si incrociano in successione una prima casera dall’aria abbandonata (in avvallamento umido e angusto poco sopra una radura) e una seconda casera (in alpeggio circa al limite del bosco). Qui, alla sua sx la traccia di sentiero sale per un breve tratto e poi piega verso dx attraversando un paio di volte i ruscelli. Qui la traccia è ormai nascosta dalla rigogliosa vegetazione, seppure indicata con ometti, segni di vernice rossa e numerosi lacci colorati sui rami degli arbusti. Superata la zona di intrichi vegetali, diventano meglio visibili i segni di vernice rossa che portano alla terza casera dalla quale è ora chiaramente visibile la parete sud della punta Fiorelli (forse la casera è possibile rifugio in caso d’emergenza, vi sono all’interno tavolati e suppellettili da malgaro).
- dalla terza casera proseguire ancora in salita seguendo i segni di vernice rossa e gli ometti che gradatamente fanno un circolo verso destra, attraversano ancora un paio di ruscelli (ultima possibilità di rifornimento d’acqua), oltrepassano un rudere e proseguono verso la bocchetta di Medaccio. Abbandonare il sentiero puntando alla parete solo in ultimo (ometti e tracce) quando il sentiero si trova ad una quota poco superiore alla base parete. (2h30m di buon passo)
- attaccare sotto la verticale di alcune caratteristiche striature biancastre, partendo da piccola cengia erbosa con alberello a ridosso della placconata, sopraelevata 3 o 4 metri circa dal termine del prato. Da qui alla sosta S1 (difficile notarla dal basso) c’è poco meno di 60 m di lunghezza.
- le prime quattro soste sono scomode, appesi, generalmente attrezzate in maniera penosa su un chiodo più uno spitrock (del tipo acquistato in vecchie lire, messo a mano neh!) collegati con cordini e maillon rapide di calata. Una sosta ha un maillon che pare un orecchino delle bambole… abbiamo lasciato un moschettone con ghiera per i ripetitori. Le soste con due spitrock non se la passano meglio: anche se si dice che l’acciaio è generoso prima o poi qualcuo si prenderà un brutto spavento se un poco di manutenzione non viene fatta a dovere.
- abbiamo portato una serie di camme BD dallo #0.3 al #4, le misure da #1 a #4 usate sulla favolosa lunghezza con fessura a incastri del sesto tiro. Lungo i tiri in placca le poche lame (profonde quanto basta) consentono di piazzare solidi C3 misura #00, #0, #1, #2 seppur distanziati tra loro.
- discesa: doppia da S6 a S5 stando sul bordo dx dello spigolo (viso a monte), poi S5–>S3–>S2–>S1; la sosta sotto il tetto seppur attrezzata per la doppia non ci siamo fidati a raggiungerla temendo un recupero difficoltoso per gli attriti.